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CYBERSECURITY

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Secondo l’inventore Ray Kurzweil, il XXI secolo non vedrà cento anni di progressi, ma l’equivalente di ventimila. Assisteremo, cioè, ad una accelerazione fortissima della tecnologia, che si svilupperà in modo esponenziale, mettendo a dura prova la capacità di cambiamento delle aziende e dell’intera popolazione. Sarà impensabile, per stare al passo, continuare a ragionare in termini lineari, ma occorrerà dotarsi – come ci racconta l’ad di Eurotec, Roberto Siagri (vedi webinar: La digitalizzazione di tutte le cose trasformerà tutte le imprese) – di una buona dose di agilità e spirito di adattamento, comprendendo che il progresso, fino a poco tempo fa materiale, si sta trasformando in qualcosa di astratto, governato dal principio, teorizzato in modo futuristico già negli anni Cinquanta da Richard Fuller – “fare sempre più con sempre meno peso, tempo, energia”. Siamo, dunque, entrati nell’era dell’impresa in tempo in reale, caratterizzata da una spiccata efficienza e da volumi impressionanti di dati; abbiamo lasciato alle spalle le certezze dell’”economia del cowboy” per passare a quella dell’”astronauta”, al mondo della produzione digitale, dove tutto deve essere continuamente tenuto sotto controllo.

E sono proprio i dati a rappresentare, oggi, una delle risorse più importanti. Il futuro prossimo fatto di Internet of Things, Big Data, Industry 4.0 si fonda, infatti, su prodotti intelligenti ed interconnessi, in grado di generare una enorme movimentazione di dati da proteggere e salvaguardare. I numeri sono impressionanti – rivela Andrea Bertoni, fondatore di Fill in The Blanks, azienda specializzata nella progettazione di architetture informatiche ad alto grado di resilienza (vedi webinar: Il patrimonio delle aziende del futuro: i dati). A fronte di una popolazione mondiale attorno ai 7,5 miliardi di persone, ci sono più di 8 miliardi di cellulari in funzione; gli utenti internet rappresentano il 50% della popolazione planetaria; ogni giorno trascorriamo 2 ore e 20 minuti sulle piattaforme social, dove facciamo transitare una quantità enorme di informazioni. Soltanto Facebook è utilizzato da 4,37 miliardi di utenti. Se, tuttavia, i social network rappresentano una fetta importante di dati, i massimi generatori di dati sono, oltre all’industria (sempre più orientata al 4.0) gli oggetti consumer legati alla domotica. Oggi si registrano 8 miliardi di oggetti (elettrodomestici, dispositivi domestici etc…) che “parlano” scambiando informazioni; in un paio di anni si stima arriveranno a 20 miliardi. Viviamo in un mondo permeato dai cosiddetti Big Data, dove ogni informazione o gruppo di informazioni possono essere utilizzati per scopi diversi: marketing, sicurezza pubblica, ambiente e, nel caso delle aziende, controllo e gestione della produzione, diminuzione degli sprechi, aumento della qualità dei servizi, posizionamento del brand solo per fare qualche esempio. Viviamo in mondo dove i dati sono una fonte inestimabile di informazioni ed analisi: dove – riporta uno studio di una nota carta di credito - si può scoprire, mettendo in relazione informazioni apparentemente disomogenee, che chi acquista feltrini per le sedie è un soggetto tendenzialmente più affidabile rispetto alla contrazione di debiti.

Dover gestire e controllare una mole così imponente di dati significa, però, essere vulnerabili, e, specialmente per le aziende, possibili vittime di attacchi informatici, potenzialmente molto pericolosi. A raccontarci i cyber crimini più comuni è Marco Alvise De Stefani, docente di Digital Forensics e dal 2004 collaboratore del Ministero della Giustizia (vedi webinar: I 3 crimini informatici che colpiscono l’azienda): parliamo di dipendenti infedeli, di attacchi mirati all’azienda o alla sua reputazione. Reati di cui l’impresa, nella maggior parte dei casi, si accorge con molto ritardo. Il tempo medio per rendersi conto di una violazione dei propri dati va, infatti, da 6 a 12 mesi e normalmente avviene rilevando un inspiegabile calo di fatturato, una moria di dipendenti o la perdita di clienti importanti.

Di qui la necessità di mettersi in sicurezza, trovando la giusta combinazione fra protezione, operatività in mobilità e diritto della privacy del lavoratore. Una triangolazione tutt’altro che semplice e che richiede infrastrutture adeguate. I rischi sono altissimi – rivela Francesco Cossettini, esperto di cyber security: solo pensando ai campioni di malware su Android se ne contano oltre 3,5 milioni ; 2 aziende su 10 subiscono la violazione di dati su mobile. Il futuro? Oltre a sistemi di geolocalizzazione, inventari, cifrature e pin/password obbligatorie, sentiremo molto parlare anche di BYOD (bring your own device), ovvero di politiche aziendali che permettono di portare i propri dispositivi personali sul posto di lavoro e usarli per avere accessi privilegiati alle informazioni aziendali e alle app e, soprattutto, di WYOD, in altri termini dispositivi indossabili. Gli wearables entreranno presto nelle imprese cambiando il modo di lavorare delle persone. Siamo pronti per tutto questo? (vedi webinar: Controllare i dispositivi aziendali per prevenire i crimini informatici).

 

Caspar Rubin

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19/10/2017